Lettera n. 649

Mittente
Fortini, Franco
Destinatario
Bollati, Giulio
Data
6 gennaio 1964
Luogo di partenza
Milano
Luogo di arrivo
[Torino]
Lingua
italiano, francese
Incipit
Caro Bollati, nessun risentimento o inimicizia. L'epigrafe brechtiana alludeva a quanto pur mi dicevi: di esser 'sbranato' dalle contraddizioni della casa editrice.
Explicit
Che tu dica di sentirne il bisogno è quanto basta perché possa firmarmi, con amicizia, il tuo | Franco Fortini
Regesto
Da parte di Fortini, nessun risentimento o inimicizia [cfr. Bollati a Fortini, 2 gennaio 1964, #163]. L'epigrafe brechtiana [?] era in riferimento al fatto che Bollati diceva di essere “sbranato” dalle contraddizioni della casa editrice. Il resto era un breve saluto, dal momento che avevano parlato abbastanza a lungo. L'accaduto non va letto in chiave psicologica: alla lettera di luglio [Giulio Einaudi a Fortini, 24 luglio 1963, #429] non presiedono motivi psicologici, ma obiettivi e pratici: aziendali, politici, di politica aziendale, magari ideologici. Le nevrosi non c'entrano: i lati sgradevoli di Einaudi non hanno impedito a Fortini di collaborare cordialmente con lui. Si tratta semplicemente di un rapporto di forze. Si è ritenuto che Fortini valesse un 30% in meno del 1961-1962. E, per «fare d'une pierre deux corps», si è voluto fargli intendere che doveva togliersi dalla testa ogni idea di “voce in capitolo”. Il livello “psicologico” era da manuale americano di management; di italiano c'erano solo alcune smorfie d'anima. Si riaffermava il carattere assoluto della Direzione. Le trattative erano una finzione, la lettera di Einaudi significava: «O accetti o la porta»; mentre quella di Fortini [29 agosto 1963, AFF] conteneva già l'accettazione del mutamento di rapporto. Contro il potere della direzione è inutile strillare, ma è brutto da parte di Bollati velare i «robusti argomenti direzionali» tirando in ballo psicologia e orgoglio. Bollati faccia, come tutti, il suo mestiere, senza uno zelo di cui nessuno, tanto meno Einaudi, gli sarà grato. Quella che Bollati chiama orgoglio o superbia è la semplice persuasione di non voler essere trattato come Einaudi ha creduto di poterlo trattare. Fortini ne ha risentito troppo perché Bollati vi debba aggiungere scorrette motivazioni con implicito invio all'umiltà e al pentimento. Nonostante le finzioni amichevoli o culturali, Einaudi e Fortini non sono due eguali. Non è generoso chiedere a Fortini una magnanimità che Fortini non si era mai stupito di non scorgere in Einaudi, se è vero «qu'on ne règne pas – nemmeno su di una casa editrice – innocemment». Fortini si scusa dei gallicismi, ma afferma che l'amicizia occorre meritarsela. Fortini sarà grato a Bollati di qualsiasi aiuto che avesse occasione di dargli e che la sua superbia gli consentisse di accettare.
Testimoni
  • Torino, Archivio di Stato di Torino, Einaudi, Einaudi, Serie «Corrispondenza con collaboratori italiani», cartella 83, fascicolo 1263 («Fortini»)
    728, 729