Lettera n. 645

Mittente
Giudici, Giovanni
Destinatario
Fortini, Franco
Data
30 dicembre 1963
(Postscriptum di due pagine datato 31 dicembre 1963)
Luogo di partenza
Milano
Luogo di arrivo
[Milano]
Lingua
italiano, latino, inglese
Incipit
Caro Fortini, | la motivazione di quanto sto per scrivere è, a volere essere sinceri, di un duplice ordine: personale e di classe.
Explicit
Comunque ti è grato di molto, ti esorta alla serenità e alla calliditas, ti augura di gran cuore buon anno, il tuo | Giovanni Giudici
Regesto
La lettera svolge il tema della contestazione dell'immagine di letteratura accettata dalla società presente. Tale contestazione è motivata da fattori individuali e di classe, traducibili in fattori pertinenti al momento inventivo, e fattori pertinenti al momento istituzionale della letteratura. Non importa tanto soffermarsi sui primi (indispensabili a ogni seria ricerca poetica, e assente una formulazione teoretica in merito, forse inopportuna, in quanto si definisce nella prassi del fare poetico), ma sui secondi – i motivi della contestazione a livello critico-ricognitivo o istituzionale – e metterli in rapporto con la contestazione a livello inventivo [cfr. Fortini a Giudici, 1 gennaio 1964, #33]. La presa di coscienza da parte di chi contesta o crede di contestare le forme vigenti a livello inventivo richiede, infatti, una più precisa definizione della contestazione a livello critico-ricognitivo. In quali momenti è articolabile questa contestazione? a) Constatazione che tale immagine di letteratura è un prodotto della società di classe. I grandi valori della borghesia in ascesa (tra cui la letteratura come istituto) nel momento della decadenza si degradano, e tendono a essere strumentalizzati, mercificati, mistificati. Contestarli diventa un imperativo preliminare alla libertà di invenzione poetica (nella misura in cui essa si sottrae episodicamente al condizionamento di classe) e un imperativo politico nel quadro di una volontà rivoluzionaria. b) Non accettazione dei singoli momenti fenomenici dell'istituto (termini del dibattito letterario o culturale; singoli sottogeneri, quali recensione, pseudo-saggio, ecc.; giudizi estetici di valore nei confronti di certi fatti di letteratura integrata o di consumo; per preferire l'indagine extraletteraria o l'esame di costume se il fatto di costume pare prevalere su quello letterario, ecc.). c) Rifiuto di motivazioni moralistiche o parenetiche e asserzione della necessità di motivazioni oggettive. d) Prassi dell'operare letterario (a parte il momento inventivo, difficilmente programmabile e controllabile). Evitando, come diceva Fortini, pericolose formulazioni generiche che anticipano all'avversario i piani militari, si dovranno cercare nuove forme per una letteratura, per così dire, di guerra, destinate a mettere in crisi, con la loro diversità, la supposta validità delle forme istituzionali «class-conditioned». Giudici sarebbe tentato di dire quanto ha già suggerito Fortini: «facciamo una letteratura del come se», anticipatrice di una società comunista. Anche se non si sa come sia la letteratura di una società comunista, e anche se non si può giurare sulla sua utilità, fare qualcosa di diverso è già una contestazione. Tronti ha scritto che non è vero che nel neocapitalismo non esiste più la classe operaia, ma esiste una classe operaia organizzata dal capitale («Q.[uaderni] R.[ossi]», n. 3). Illusorio pensare che la contestazione per essere efficace possa limitarsi ai modi dell'immagine vigente della letteratura, inutili le proteste progressiste dei letterati pseudo-rivoluzionari, irrilevante l'intenzionalismo su cui il prof. Paci tenta di fondare la sua filosofia marx-husserliana. Nondimeno, esistono forme senescenti e investite di potere dell'istituto letterario capitalistico di cui ci si deve servire. L'intelligenza dei versi neoavanguardisti («o, per lo meno, delle loro “teste” pensanti») è stata proprio di riconoscere l'obsolescenza dell'istituto, ma c'è una differenza qualitativa tra individuarla sul piano del successo personale (omologo alle strutture delle classi vigenti) e individuarla sul piano delle esigenze poetiche individuali e rivoluzionarie. A costo di mettere in discussione le premesse di «Questo e altro», occorre pensare a una rivista che accolga scritti utilizzabili in questo senso, guardando alla verità e al futuro, anche nell'inconsapevolezza dei loro autori, che potranno essere molto giovani. Non è necessario fare grandi ricognizioni sul campo degli avversari e dei pochi amici: è sufficiente qualche accorgimento. Giudici sa per esperienza che procedere nella verità dei propri errori, pronti a riconoscerli continuamente e superarli, pragmaticamente è abbastanza valido. «Io non sono particolarmente colto, l'unica mia specialità è scrivere versi, non sono furbo, non sono simpatico e non so stare nemmeno a tavola: ma siamo noi che decidiamo (mi sembra) in questo momento. Allora ciò vuol dire che la verità, o più umilmente la volontà della verità, ha una sua forza». Giudici e Fortini non possono vivere della loro vocazione: anche per questo sono così dinamitardi e si soffermano su questi temi. Forse un certo tipo di successo li condizionerebbe, ma chi vive di quel successo rimane prigioniero di se stesso e dell'esistenza. «"Più vivo – ad altri appartenendo sei di quanto – potresti appartenendoti": cito me stesso, dai miei “brutti” versi». Per concludere, sarebbe non solo immorale, ma assolutamente sconsigliabile persistere nella totale accettazione della koinè letteraria vigente e sacrificare ogni possibilità di incidenza. Giudici vorrebbe che le loro formulazioni, anche nei confronti del loro amico Sereni (sulla cui disponibilità "ideologica" non condivide il pessimismo di Fortini, perché la "grazia" poetica supplisce a molte carenze), fossero spoglie di ogni intenzione o emozione o motivazione di tipo moralistico. Si scusa per l'insufficienza teoretica, la scarsa progammaticità (rinviata ad altra sede), la vaga commozione di questa lettera scritta di fretta. Spera però che Fortini non la ritenga indegna di aprire la serie di «papers» di cui parlavano. Queste cose è meglio buttarle giù come vengono, perché se non venissero non sarebbero nemmeno da dire. Augurio di serenità e «calliditas». [postscriptum del 31 dicembre] Il tono della lettera scritta la sera precedente è viziata da un tanto di «“rorido” e di commosso». Senza riscriverla, Giudici si limita a qualche aggiunta sul tema della contestazione. Gli avversari (letterari) di classe non sono tanto sciocchi e isolati da motivare la loro contestazione solo con il successo personale, ecc. Il loro tipo di contestazione corrisponde a un intervento pseudo-riformatore, dilatorio di una presa di coscienza diretta dei termini del problema, analogo a quella che Tronti a livello industriale definisce "socializzazione del capitale". La configurazione letteraria della società di classe denuncia l'obsolescenza dell'istituto vigente per sostituirlo con pseudo-istituti destinati a obsolescere sempre più rapidamente. L'analisi delle cause di obsolescenza è così elusa e ridotta a fenomeno puramente sovrastrutturale e necessario perché l'istituto letterario si conformi all'interesse della conservazione (moda, successo, consumo). La neoavanguardia borghese fa piazza pulita degli aspetti più volgari e risibili della marcescenza dell'istituto, lasciandone inalterata l'innocuità sostanziale. Primo problema: dato e non concesso che a livello dei rapporti di produzione le forme più avanzate del capitalismo determinino a livello più alto lo scontro di classe, è possibile inferirne che altrettanto avvenga nell'ambito cultural-letterario? In tal caso non sarebbe consigliabile una temporanea e falsa alleanza con i contestatori borghesi della letteratura borghese? Giudici risponde negativamente a entrambe le domande, perché, mentre le innovazioni a livello della struttura possono radicalizzare i termini della lotta, l'intervento riformistico (alla cui base c'è il conservatorismo di classe: perché nulla cambi, tutto deve cambiare) distrugge i termini della lotta a livello sovrastrutturale. Secondo problema: conviene all'intenzione del loro agire letterario che l'istituto continui il più possibile a presentarsi nella sua immagine marcescente? Conviene, ma non è da sperare, perché la società di classe tende a sbarazzarsene (come ha fatto con altri valori sul piano dell'etica, del costume o della religione, concomitanti con l'ascesa della società borghese e poi decaduti e strumentalizzati; tanto che la borghesia si è potuta permettere di anticipare le rivendicazioni strutturali della classe antagonista, le cui forze organizzate veramente annaspano nel vuoto). Terzo problema: sul piano contestativo, non sarà compito della posizione rivoluzionaria riconoscere nelle forme obsolete dell'istituto zone positivamente agibili, e strumentalizzarle in funzione di una mediazione con destinatari ancora scarsamente sensibili agli aspetti dell'obsolescenza letteraria? Anche se Giudici non riesce o non si propone di chiarire o approfondire, crede che in questo tipo di problematica riemergano sue vecchie idee sulle «forme logore», e passaggi "etici" di alcuni suoi scritti dell'anno precedente, come il Solženitsyn aborrito da Fortini. Ma questa non può essere la sola mediazione. La contestazione, per non essere moralistica e parenetica, deve ricercare tipologie di mediazione in una fascia abbastanza larga, che va dalla zona "sublime" dei valori sedotti e abbandonati dalla classe dominante a certe zone "fanoniane" della classe dominata. Forse alcune poesie di Giudici, e le "repellenze" linguistiche che Fortini vi scorge, esprimono questa ricerca. La ricerca di nuovi modi dell'operazione letteraria (il non pubblicare come limite, i famosi riassunti, le motivazioni premesse agli scritti, ecc.) potrebbe corrispondere a quella stessa ricerca, a quello sforzo di collegamento e di temi nuovi e forme di dissidenza che l'editoriale dei Q.[uaderni] R.[ossi] n. 3 indicava alla lotta operaia. Insomma, la prospettiva è problematica sul piano tattico, ma non possibilistica nei confronti degli istituti o neo-istituti vigenti. Problematica perché implica ricerca, che occorre svolgere con estrema severità di giudizio. Di fronte al capitale che anticipa la lotta operaia, la lotta operaia, per sussistere, deve anticipare il capitale. Non è un problema da poco.
Testimoni
  • Siena, Centro Studi Franco Fortini, Franco Fortini, Franco Fortini, Corrispondenza, scatola VI, cartella 19, Giovanni Giudici a Franco Fortini
    lettera n. 6
  • Milano, Centro Archivi della Parola, dell'Immagine e della Comunicazione Editoriale, Giovanni Giudici, Giovanni Giudici, Serie «Corrispondenza», fascicolo «FORTINI FRANCO»
    lettera n. 1
Edizioni
  • Fortini, Giudici 2019, lettera n. 14, 91-98