- Mittente
-
Giudici, Giovanni
- Destinatario
-
Fortini, Franco
- Data
-
24 febbraio 1963
- Luogo di partenza
- Milano
- Luogo di arrivo
- [Milano]
- Lingua
- italiano, inglese, latino, francese
- Incipit
- Carissimo Franco, | scriverò anch'io delle lettere. E una anche a te, dopo quella a Barberi Squarotti.
- Explicit
- ,... un convegno da tenersi nel modo meno clandestino possibile e tale da provocare un certo tipo di rallentamento, rigoroso abbastanza e non troppo esiguo). Tuo aff.mo | Giovanni Giudici
- Regesto
- Giudici scrive a Fortini dopo avere scritto a Barberi Squarotti, il cui saggio è «splendido». Anche se l'ultima parte non è del tutto plausibile, convince la sua proposta "politica" di una «manovra annessionistico-svalutativa» nei confronti dell'avanguardia come precettistica. Senza opporre pregiudiziali astratte a certe forme e artifici retorici, Squarotti trasferisce il criterio di giudizio su un altro piano. Giudici fissa in 10 punti alcune riflessioni suscitate dal saggio di Squarotti e ispirate anche in parte dall'amicizia intellettuale con Fortini e dal suo insegnamento.
1) La lucidità, lo sforzo di obbiettivazione sentimentale del saggio di Squarotti, e soprattutto il rilievo (già di Fortini) della scarsa incidenza della presa di posizione politica nell'ambito dell'esercizio letterario fanno riflettere sulla controproduttività di certi interventi critici troppo "a cuore aperto", lamentoso-appassionato-melodrammatici, tali da attirare solo chi già la pensa in quel modo. Il discorso critico dovrebbe invece farsi impersonale, come il discorso artistico per Fortini, assumendo una maschera, per guadagnare potenziali ascoltatori; ma quale maschera?
2) Quella della neoavanguardia, incarnata, formalmente, da Sanguineti, che ha appena pubblicato un libro? Questo tipo di discorso riscuote l'approvazione «pecorona (ora babbea ora interessata)» dei vari prof. Anceschi (risentiti per non essere stati scelti come leader di pensiero), dei carrieristi alla Umberto Eco (che di fronte alle mode sono come un ufficiale d'ordinanza addetto contemporaneamente a sette generali), dei nostalgici della giovinezza come «l'ottimo Vittorini», dei letterati pavidi e ignoranti, dei banchieri che, con un'immagine di Fortini, «accantonano i quadri dei vari Fautrier nelle loro capaci cantine», e infine delle case editrici dedite al mercato, e degli esperti del merchandising culturale. Giudici non ha pregiudiziali astratte nei confronti del discorso neavanguardistico, ma ritiene che le pressioni che lo autorizzano siano tanto forti da escludere la possibilità di un suo impiego in chiave «machiavellico-gesuitica». Ma c'è un'altra ragione più sostanziale che sconsiglia un'operazione mascherata in tal senso.
3) L'echismo poetico è una vera operazione di marketing-merchandising. Una delle sue funzioni è di provocare la svalutazione del medium letterario, non solo per privare l'intervento letterario di capacità di incidenza storica, ma soprattutto per disarmarlo nei confronti della sovrastruttura, che può metterlo a servizio della produttività editoriale. Laddove la classe antagonista aveva tentato senza successo la rozza carta dell'engagement, la classe dominante pratica l'engagement alla rovescia, all'insegna della ricompensa immediata anziché della lotta.
4) La maschera non va, dunque, scelta nel «guardaroba novissimo», che mira alla distruzione dello strumento letterario come forma di intervento, ma nel «guardaroba tradizionale», a costo di portarsi su posizioni di apparente coincidenza con la destra letteraria, che però non coincide più con la destra politica. Agli interessi della conservazione politica un Luzi (Montale a parte, essendo ormai storicizzato) è tanto inutile quanto lo sarebbe per De Gaulle un Maurras. Infatti De Gaulle ieri scelse Malraux e oggi Robbe-Grillet. In seguito a operazioni annessionistiche di questo tipo, la destra potrebbe diventare una pseudo-destra, così come è una pseudo-sinistra la neo-avanguardia che coincide strumentalmente con le esigenze della destra politica effettiva.
5) Giudici dice queste cose perché è tanto convinto della plausibilità politica dell'operazione da lui proposta, che il suo stesso lavoro poetico (che a momento debito sottoporrà a Fortini) muove in questa direzione. Infatti, se è vero che l'agire politico propriamente detto deve essere politico e non letteratura camuffata come ai tempi del vecchio engagement, è vero che nell'operare letterario la coerenza con un determinato agire politico si manifesta nel salvaguardare gli strumenti di intervento storico (come la letteratura), che gli agenti letterari del potere tentano di piegare agli interessi della classe dominante. «Viva Bigongiari, dunque?»
6) Non necessariamente. La maschera di Giudici è «politically inspired» e punta a mantenere il contatto con i possibili utenti della letteratura. L'utilizzo di un medium tradizionale è funzionale al mantenimento di questo contatto. Rispunta la vecchia idea di Giudici delle «forme logore», con la parola «forma» assunta nell'accezione non formalistica. Noventa diceva che non si può forse dire nulla di nuovo, ma solo alludere a qualcosa di nuovo. L'unico modo per farlo è di continuare il vecchio discorso, ma presupponendo destinatari non specialistici, tendere a una forma non vertente su se stessa e tautologica, non una letteratura della letteratura, ma una letteratura della vita. La lettura attuale di Lukàcs può forse dare in tal senso il meglio di sé. Quella dell'avanguardia, invece, è una letteratura di terzo grado, che ripristina, con Barthes, il mito di partenza.
7) Pare che gli uomini della destra letteraria («i cui visceri continuano a portare innegabili aderenze alla destra economica e politica») stiano tentando un'operazione analoga con i significati conservatori della neoavanguardia, partecipando al sentimento della classe dominante che considera eversiva una letteratura che non abbia per oggetto se stessa. Ciò confermerebbe la scissione (in campo non solo letterario) non più tra ideologie, ma tra «vision-du-monde e non-vision-du-monde». Perciò, intellettuali come Fortini e Giudici hanno l'obbligo di contribuire a definire rigorosamente e con la necessaria durezza il nuovo schieramento, distinguendo destra da destra, e recuperando anche la parziale, incerta, più o meno "pseudo" sinistra (Scalia), il cui torto maggiore è forse dabbenaggine.
8) La coscienza del vero significato reazionario dei falsi eversori comporta eticamente e politicamente l'obbligo di non avere pietà sul piano dell'esercizio critico nei confronti dei Sanguineti, dei Giuliani, degli Umberti Echi, dei Balestrini, dei Pagliarani («ti ce lo metto anche lui!») e, con maggiore prudenza, degli Arbasini, dei Citati, ecc. Essi vanno derisi, tanto più che loro non esitano a irridere e disprezzare chi non li segue. Ma senza parlare di politica, senza mozione degli affetti morali, come si è fatto in passato, con ingenuità imperdonabile. Non si elimina il ladro facendogli un'accorata predica, ma semplicemente denunciandolo alla polizia.
9) Ognuno ha i suoi «piccoli problemi di affranta bestiola», ma non è da questi che bisogna partire, altrimenti si finisce per avere paura di fronte alla spietata protervia di quegli «scherani». Giudici ricorda che nel suo servizio militare, durante un'operazione al Quarticciolo contro la banda del Gobbo, l'ufficiale Soilj disse loro: «Se vedete uno così e così, tirategli subito, altrimenti vi tira lui». Occorre organizzazione per difendere, sul piano pratico, la loro idea di letteratura.
10) Giudici ha citato solo i casi più evidenti e macroscopici (i più immediatamente utilizzabili nella controffensiva). Intende scrivere una lettera sullo stesso argomento a Vittorio Sereni. Si potrebbe organizzare un convegno sul tema.
- Testimoni
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Siena, Centro Studi Franco Fortini, Franco Fortini, Franco Fortini, Corrispondenza, scatola VI, cartella 19, Giovanni Giudici a Franco Fortini
lettera n. 3
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Milano, Centro Archivi della Parola, dell'Immagine e della Comunicazione Editoriale, Giovanni Giudici, Giovanni Giudici, Serie «Corrispondenza», fascicolo «FORTINI FRANCO»
lettera n. 1
- Edizioni
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- Fortini, Giudici 2019, lettera n. 9, 82-86